Passaggi

PASSAGGI from Giuliano Pornasio on Vimeo.

Passaggi (Italia 2011, col, 8') Giuliano Pornasio. Marcello Enardu, Angelica Anedda.
Un uomo (Marcello Enardu), una bambina (Angelica Anedda). Passaggi tra la vita, la morte e ancora la vita. Cortometraggio girato in Sardegna (Cagliari/ Sardara). Scritto e diretto da Giuliano Pornasio. Fotografia e montaggio di Alessandro Rana. Musiche: Claude Debussy - Suite Bergamasque 3° movimento “Claire de lune” eseguita da Stefano Carraro, Holy Carpenter “Zemeyel”, Juila Ensalmble “Canzone del Pomeriggio”.

Salvatore Mereu racconta il suo "Sonetàula"

Salvatore Mereu torna alla ribalta con il suo ultimo film Sonetàula. Nato nel 1965 a Dorgali, in provincia di Nuoro, il regista sardo ha sceneggiato e diretto tre cortometraggi: "Miguel" (1999), "Prima della fucilazione" (1997), "Notte rumena" (1996) e due lungometraggi: "Ballo a tre passi" (2003), vincitore della settimana della critica al festival di Venezia e del David di Donatello per la Migliore opera prima e "Sonetàula" (2008) ultimo suo lavoro, tratto dall'omonimo romanzo di Giuseppe Fiori, presentato nella sezione Panorama al festival di Berlino. Le vicende che narrano in maniera neorealista la situazione in Sardegna dal 1930 al 1950 vedono come protagonista Sonetàula un ragazzo che vive nell' entroterra sardo, dimenticato da dio direbbero Ciprì e Maresco, in miseria come il resto del paese che vede la vita sconvolta dopo l'arresto e la condanna al confino del padre, per un delitto mai commesso. Cresciuto dal nonno e da zio Giobatta, Sonetàula a diciotto anni farà la scelta che segnerà per sempre la sua vita, diventare bandito.

Salvatore Mereu, dopo "Ballo a tre passi", "Sonetaula". Cosa ti ha spinto a portare nuovamente la Sardegna sul grande schermo?

Ma intanto io sono sardo, sono nato e cresciuto in Sardegna continuo a vivere qua e in genere bisogna sempre parlare di cose che si conoscono è questa e la mia ragione di fondo. Mi è piaciuto molto il romanzo di Fiori che avevo letto proprio mente montavo ballo a tre passi e ho deciso di portarlo sullo schermo. Inoltre ho sentito l' esigenza di voler raccontare la nostra terra che è sempre stata raccontata abbastanza poco. Mi ha colpito particolarmente l' espressione di questo ragazzo che non riesce a vivere la sua vita perché tutta una serie di episodi gli impediscono di viverla sino in fondo e questo mi sembra l'elemento più grave e tragico che può essere rapporta anche ai giorni nostri in quanto molti giovani si perdono e non riescono a vivere sino in fondo la propria vita.

Da cosa è maturata la scelta di rappresentare il romanzo di Fiori?

Soprattutto dalla possibilità di fare di questo romanzo un film per lo schermo, il romanzo ha una suddivisione in atti che sembra quasi pensata per un racconto cinematografico, c'è un eroe, un antieroe e una serie di delitti che fanno pensare al cinema. Fiori amava molto il cinema e ha fatto per molti anni il critico cinematografico, aveva continuato a frequentare il cinema da appassionato. Quando gli ho parlato poco prima che morisse della realizzazione del film da un suo libro era contento.

La tematica del banditismo ritorna prepotentemente sulla scena del cinema sardo. Non c'è il rischio che la nostra terra venga presentata secondo i soliti "luoghi comuni"?

Questa è una preoccupazione solo dei sardi. Il film da una rappresentazione di una parte della Sardegna. La Sardegna non è riconducibile solo sotto questo aspetto, c'è una Sardegna urbana, che spesso è raccontata molto bene dal cinema di Enrico Pau, proprio ora è al cinema il suo ultimo lavoro "Jimmy della collina" che parla di Cagliari e dell' hinterland. Quando ho presentato il mio film all'estero la gente era curiosa di conoscere il mondo sardo e non giudicano i sardi come banditi. Non c'è la preoccupazione che possano prenderci tutti per banditi.

sonetaula

La classe operaia va in paradiso

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La classe operaia va in paradiso (Italia 1971, col, 125') Elio Petri. Con Gian Maria Volontè, Mariangela Melato, Mietta Albertini, Salvo Randone, Gino Pernice, Luigi Diberti. L' operaio Lulù Massa (Volonté) è un eccellente metalmeccanico odiato dalla maggior parte degli operai per la sua dedizione estrema al lavoro ma allo stesso tempo amato dal capo dell'azienda che lo considera un esempio per tutta la fabbrica. La perdita di un dito, mozzato proprio da quella macchina di cui lui stesso si considera un bullone provoca uno scisma tra lui e la fabbrica. Si ritrova infatti ad aderire alla protesta dei “compagni”, che disprezzava, perdendo il lavoro e la sua donna. Lo stesso partito poi riuscirà a farlo riassumere restituendogli quella che per lui era la sua vita.
Un film di denuncia che fa riflettere sulla condizione dell'operaio reso inumano dal proprio lavoro. Agghiacciante il rapporto sessuale che ha l'operaio (Lulù Massa) con una collega, dimostrazione pura della sua caduta sfrenata verso la follia causata dai ritmi lavorativi frenetici e alienanti che lo portano inconsciamente o forse consciamente a una totale crisi di nervi. Volontè si adatta perfettamente al ruolo scritto da Petri e Ugo Pirro come aveva già fatto nel precedente “Indagine su un cittadino al di fuori ogni sospetto”. Monumentali le musiche di “Ennio Morricone”. Palma d' oro a Cannes insieme a “il caso Mattei” di Rosi.

La Grindhouse di Tarantino e Rodriguez

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Sesso, violenza, puro pulp. Film d'exploitation, splatter, slasher, horror, thriller, sexploitation, blaxploitation. massa di materia informe, molle e umida. 2- un libro che tratta di argomenti sinistri, normalmente stampato su carta di bassa qualità. Il film Grindhouse negli Stati uniti e in Inghilterra comprendeva la visione dei due film Death Proof di Quentin Tarantino, Planet Terror di Robert Rodriguez e quattro fake trailer Thanksgiving di Eli Roth, Machete di Robert Rodriguez, Werewolf Women of the SS di Rob Zombie e Don't! di Edgar Wright. Grindhouse ovvero cinema dei doppi spettacoli e delle pellicole a basso costo degli anni settanta, che si rifà agli standard dei film d'exploitation, proiettati uno dopo l'altro ed intervallati dalle anteprime dei film in uscita nelle prossime settimane. Tarantino e Rodriguez hanno deciso di inserire, prima, durante e dopo i due segmenti alcuni cortometraggi girati da essi stessi e da altri amici registi che riproponessero i trailer proiettati nelle Grindhouse. La durata totale di questo gran spettacolo era 191' minuti. In Europa il film è stato presentato diversamente, Death Proof (A prova di morte) e Planet Terror infatti sono stati divisi e presentati come film separati facenti però entrambi parte del progetto Grindhouse. A prova di morte è stato presentato al festival di Cannes nella versione estesa cioè con 27' minuti aggiuntivi, che nella versione americana rappresentavano la bobina mancante. Tarantino e Rodriguez volevano inserire durante le due pellicole una bobina mancante. Questo per lasciare nel dubbio lo spettatore. Planet Terror è invece uscito a settembre insieme a l'unico trailer presentato nella versione europea, mentre gli altri trailer sono stati tagliati. Che le menti siano stuprate da questi due complessi lavori.

Murderers



Murderers (Murderers Italia 2009, b/n, 10') Riccardo Lai. Gianmarco Gambula, Silvia Cristofalo, Marco Casto. Tre assassini, tre dimensioni e l’amore nella mancanza della verbalizzazione. Scritto e diretto da Riccardo Lai. Musiche originali Oppox, Elvis Presley “Party”. Montaggio Silvia Porcu.

Zafferania

Spot pubblicitario per promuovere la vendita dello zafferano. Con Saverio Mastrofranco. Diretto e montato da Silvia Porcu.

La ragazza del lago

(Ita 2007,col,95´) Andrea Molaioli. Con: Toni Servillo, Valeria Golino, Fabrizio Giufini, Omero Antonutti, Anna Bonaiuto. Il film è stato realizzato con il contributo del Ministero per i Beni e le Attività. Culturali,Direzione generale per il Cinema, sezione opere prime e seconde, in collaborazione con Medusa film, con un contributo di Friuli Venezia Giulia Film Commission e la partecipazione dell’Ente turismo FVG.
Il commissario Giovanni Sanzio (Servillo) si trova a dover indagare sull’omicidio di una bella ragazza, giocatrice di hockey , avvenuto sulle rive di un lago, nei pressi di Carnia, in un piccolo paese friulano. Questo paese è abitato da le più svariate personalità e figure umane dall’animo differente, si percepisce una strana gelida aria come se ognuno nascondesse qualcosa (“tutta questa umanità, assolutamente normale, lontana anni luce – dice il cineasta Andrea Molaioli – dall’idea del crimine, d’un tratto appare deviata e complicata. È un delitto che fa alzare il coperchio e ribaltare la scena di questa “medietà””). “Lo sbirro” venuto da fuori inizia una introspezione nella psiche di chi conosceva la ragazza, sino a ritrovarsi in una situazione di stasi in cui gli sarà difficile capire chi è colpevole e chi è innocente. Tutti coloro che Sanzio incontra e interroga possono essere i potenziali assassini. Ad avvicinarlo ancor di più alla riflessione è una sofferenza familiare dovuta alla moglie (Bonaiuto). Tratto dal romanzo della norvegese Karin Fossum “lo sguardo di uno sconosciuto” ( “Don’t Look Back” del 1996) e sceneggiato da Sandro Petraglia, il film di Molaioli, girato in otto settimane e presentato alla Settimana della Critica del Festival di Venezia ha raccolto delle ottime critiche. “ Ho come l’impressione che viviamo in un tempo nel quale sappiamo che abbiamo un nemico di fronte, ma non sappiamo chi è. Questo ci fa vivere una sorta di ansia che cerchiamo di opprimer, sopprimere, ma che si traduce in una mancanza di forme di riferimento nel momento in cui andiamo a relazionarci”,dice Molaioli, che aveva lavorato con Nanni Moretti a partire dal 1998 con “Palombella Rossa”, prima sua comparsa in un set cinematografico, fino a “La stanza del figlio” nel 2001, facendo un ottimo esordio alla regia. Grazie anche all’attore napoletano più premiato d’ Italia, Toni Servillo, che con questo film ha vinto il premio Pasinetti, non ha deluso le aspettative dimostrando d’ essere ancora una volta in grado di assorbire totalmente qualunque ruolo e farlo suo, come ha già dimostrato nelle ottime interpretazioni dei film di Paolo Sorrentino “Le conseguenze dell’amore”, “l’uomo in più” e l’ultimo prossimo all’uscita, “Il Divo”, che ripercorre scenari di vita inquietanti del senatore a vita Giulio Andreotti. In risalto anche la figura di Fabrizio Giufini, che con la semplicità del grande attore teatrale annulla quel distacco che c’è tra teatro e cinema d’autore, come anche le altre figure che ci appaiono sul set: Toni Servillo, Valeria Golino, Omero Antonutti, tutti eroi teatrali prima che cinematografici. Un racconto asciutto ed efficace. La ragazza del lago rappresenta il noir italiano, un noir che ricorda Twin Peaks del genio David Lynch, ma che tocca più a fondo i temi sociali, in primis la famiglia,come dimostra la frase cult detta dal detective “chi l’ha uccisa doveva amarla”. “Più che un problema di comunicazione all’interno delle relazioni - spiega il regista - ravviso in modo ancor più ampio l’inadeguatezza generale che si traduce nella difficoltà di essere madre, padre e anche figlio. Una sensazione che si protende verso la nostra condizione di vita generale”. Ottima la fotografia, più volte dipinge i grandissimi paesaggi friuliani. Le musiche curate da Teardo sono spesso forti e intense e si relazionano molto bene con i paesaggi sublimi, incantando più volte l’occhio dello spettatore. “Man mano che la trama avvia al suo epilogo - dice l’attore Toni Servillo - si sposta verso l’intrigo di una natura bella ed indifferente dinanzi all’offesa costituita dall’assassinio di una ragazza. È un offesa alla purezza e alla bellezza”. Un film molto umano, spiazzante, affascinante, una vera opera d’arte d’autore. Produce la Indigo Film (quella dei film di Sorrentino, Dordit, Capuano). Bisognerebbe portare quest’arte nelle scuole, affinché i giovani sappiano sviluppare una propria critica cinematografica e non si formino soltanto sui milioni di Blockbuster uscenti ogni anno nelle sale che di norma sbancano i botteghini; ma sappiano apprezzare e amare soprattutto il grande cinema italiano. Grande risposta questa dell’allievo di Nanni Moretti, a chi dava il cinema italiano per disperso. Al festival di Cannes il grande regista americano, Quentin Tarantino, affermò che il cinema italiano non stava dimostrando di essere all’altezza del cinema italiano. La sua critica scosse l’ambiente cinematografico nostrano che per lo più rispose andando contro a Quentin. Alcuni dei lavori si sono dimostrati non all’altezza del nostro cinema, ma si sono rivelati efficaci al pubblico per una scarsa cultura cinematografica, poiché per le soap opera resta la televisione e non è necessario sporcare le nostre sale cinematografiche con le solite storie d’amore che fanno successo per la loro banalità e ipocrisia. Il cinema come dice Bruce Willis, ormai è in totale decadenza, perché ognuno con una digitale può farsi un proprio film. Per questo movimenti come Neorealismo, Espressionismo, Nouvelle Vogue e Dogma 95 dovrebbero essere la bibbia per fare del buon cinema. Godiamoci allora questo film come qualcosa di nostro sino all’ultimo respiro.

E’ stato creato un Avatar

Sommario

Questo breve elaborato prende in esame la figura dell’avatar, creatura ormai matura nel cyberspazio e nel mondo del web 2.0, attraverso l’analisi di un blog e, in linee generali, attraverso tutto ciò che riguarda la realtà virtuale. Ormai è impossibile non considerare la nuova nascita della società in rete (Castells 2008).  

Introduzione

Nell’ormai lontano 1992 usciva il film Il Tagliaerbe (The Lawnmower Man di Brett Leonard. Con Pierce Brosnan e Jeff Fahey), primo thriller futuristico sulla realtà virtuale. L’immaginario umano veniva fatto scontrare con l’informatica per creare una realtà assurda e allora percepita come terrificante. Per la prima volta, in questa trasposizione cinematografica, abbiamo la creazione di un avatar utilizzato per dare all’uomo la possibilità di muoversi in un'altra dimensione. L’ossessione del medico Lawrence (Brosnan) da origine ad un mondo artificiale senza confini, utilizzato per rendere illimitata l’intelligenza di Jobe Smith (Fahey), un semplice

giardiniere che si ritroverà ad avere possibilità immense e potenzialità incredibili. In questo film l’avatar permette all’uomo di interagire completamente con il cyberspazio, creando addirittura una nuova e totale identità del personaggio. Questo complesso processo porta alla creazione di un nuovo  sé, offre la possibilità di indossare i più svariati vestiti, in un nuovo mondo, quello virtuale. Nella società post moderna, con l’avvento del web 2.0, esistono moltissime realtà in cui un individuo può alterare il proprio io costruendosi un avatar: Facebook, Second Life, MUD (Multi User Dangeons, giochi di ruolo), Chat, Blog e tantissime altre realtà virtuali; ognuna di queste offre la possibilità di indossare una maschera, di essere invisibili, di scambiare immagini, video e parole, infine di attuare una comunicazione in toto. Attraverso le realtà virtuali si arriva a modificare il proprio io personale, si può passare da un identità all’altra, da un avatar all’altro.  

Avatar: passato, presente, futuro

Il termine avatar deriva da avatara, parola sanscrita che significa reincarnazione  in riferimento a una divinità. L’induismo considera l’avatar la presa di possesso di Dio di un corpo umano materiale. L’uso della parola avatar, secondo questa accezione, risale al 1985 e viene utilizzata da Chip Morningstar e Giuseppe Romero nella progettazione del gioco di ruolo Habitat. Questo termine/parola, avatar/incarnare, per il cyberspazio è stata coniata da Neal Stephenson nel 1992, nel romanzo Snow Crash. Fra le credenze diffuse nella sottocultura della New Age vi è anche quella secondo cui anche Gesù sarebbe un avatar (fonte Wikipedia). Un avatar virtuale è un manichino su cui il nostro inconscio può riversare pulsioni represse e desideri inespressi (Turkle 1997). Questa interazione con uno spazio sconfinato permette agli internauti di modificare il proprio sé, di esprimere i propri desideri e di sfogare la propria identità repressa. La possibilità di una reincarnazione in un mondo ormai senza regole affascina l’essere umano che si ritrova a identificarsi in qualunque ruolo e, dopo il teatro della vita quotidiana, recita in un nuovo teatro; il cyberspazio, dove ognuno si cela dietro una maschera che può rappresentare anche il suo io reale. Un avatar reale si identifica in base al nickname o a  un’immagine, oppure attraverso qualcosa che richiama la vita di tutti i giorni. Non esistono

identità fisse nella vita reale, tantomeno nella realtà virtuale. Analizzando un blog, ad esempio "Dizionario delle parole fraintese", notiamo che la blogger (Martina) utilizza un avatar reale, essendo il blog una specie di diario nel quale vengono  pubblicate, oltre a immagini personali, una serie di articoli da cui si può evincere il pensiero dell’autore, la sua occupazione, il suo nome e quasi tutte le notizie riguardanti il suo ego personale. L’avatar in questo caso non rappresenta alter ego forti. 

Come riusciamo a distinguere l’ Io reale dall’avatar?

In realtà non ci è dato di sapere chi o che cosa si celi realmente dietro un avatar. Ci si può identificare in un medico, in uno sportivo, si possono pubblicare delle foto che non appartengono alla nostra realtà, scrivere cose delle quali si pensa il contrario e raccontare storie totalmente inventate. In effetti diventiamo veri e propri detective del web che effettuano incessanti indagini per cercare di capire chi si nasconda dietro quel profilo, quel blog, o nel cyberspazio. La realtà virtuale che funge da medium, con i suoi ipertesti permette all’internauta di porsi in comunicazione diretta e immediata con qualunque cosa o qualunque realtà, senza passare per le tappe intermedie; il cyberspazio aumenta i confini dell’individuo e allo stesso tempo li restringe, come una fisarmonica, per cui il cibernauta si trova a dover curare uno spazio infinito dove si rispecchia il suo alter ego immaginario o non, e ingloba all’interno della sua mente una serie di notizie, diventando un mass media in persona. Mentre per S. Turkle questa reincarnazione viene vista come una sperimentazione del proprio self e un arricchimento della propria identità personale, per M. Willson costruire delle relazioni nel

cyberspazio simulando le relazioni reali, porta alla distruzione della personalità e all’incapacità di decidere quale sia il bene comune e la condotta migliore per l’individuo che si cela dietro il proprio avatar. 

Questo pantomimo da “the Truman show”

La nascita della società in rete, il celarsi dietro qualcuno o  qualcosa, porta a una metamorfosi che può determinare un deterioramento dei media. Prendendo in esame i giornali e la televisione, ormai dietro ogni situazione, dietro ogni notizia si può celare un avatar. Oggi è molto facile creare un articolo di giornale dove si parla dell’arresto di Riccardo Lai, con foto e riferimenti personali e caricarlo, tramite dei contatti, su Facebook. Le persone che leggeranno l’articolo sapranno che Riccardo Lai è stato arrestato perché spacciatore (questo è l’avatar), quando magari è a casa che scrive un testo per l’esame universitario di psicologia sociale.

L’avatar possiede un ego polytropos, che gli consente di diventare tutto ciò che desidera essere ma non è.

Conclusioni

L’elaborato si chiude come è iniziato, con un riferimento cinematografico. Il film è di Moretti: Aprile. Moretti mentre dorme sogna una parte del film Strange Days di Kathrin Bigelow che ha visto quello stesso giorno con la moglie in dolce attesa, rammaricandosi di averlo fatto vedere/non vedere al figlio, non essendo ancora nato: - Hai mai jackato? Hai mai zigoviaggiato? No mai, ahm un cervello vergine ti faremo cominciare bene sei proprio sicuro che vuoi essere collegato? Si, si lo voglio-. Svegliato dall’ incubo Moretti, fa colazione: - La vedi quella filippina superdotata laggiù e lo vedi quello li che balla con lei? Ti piacerebbe essere lui per venti minuti? I venti minuti giusti? Io lo posso fare accadere senza nemmeno farti macchiare la fede nuziale. E’ colpa mia ho portato mio figlio a vedere questa cazzata memorabile, questi film poi influenzano i bambini, influiscono sul carattere …

La Solitudine

 
La solitudine (Ita 2009, col, 8' ). Riccardo Lai e Luca Marras. Marco Concas, Luca Marras.
Un mondo onirico dove due creature interagiscono seppure incapaci di comprendersi. Scritto e diretto da Riccardo Lai e Luca Marras. Musiche Aube e Maurizio Bianchi “Gog’s Attack”, Einsturzende Neubauten “ Die Genaue Zeit, “Zentrifuge”. Montaggio Silvia Porcu.
La solitudine è uno short movie girato senza budget con attori non-professionisti e attrezzature minime, frutto esclusivamente delle conoscenze delle persone che hanno preso parte alla realizzazione del corto. La macchina da presa è stata utilizzata unicamente come cattura immagine, per rappresentare una realtà visionaria, che spesso invade la mente dell’individuo.
Girato in una settimana circa questo è il risultato del lavoro di quel cinema sperimentale atto a comunicare con le immagini, il sonoro e un nuovo tipo di linguaggio, escludendo il dialogo parlato che da sempre è stato il bagaglio dell’uomo. L’interazione umana, oggi più che mai, è protagonista assoluta di ogni realtà sociale fino a rendere ogni canale saturo di comunicazione. Viviamo nell’epoca dei media, nei quali ci identifichiamo tramite gli avatar e tutta questa mcdonaldizzazione della comunicazione porta al crollo dell’attesa.
 
Non si può non comunicare
(Paul Watzlawick)
 
La morte non è nel non poter comunicare ma nel non poter più essere compresi. 
La muerte no es no poder comunicar, sino no poder ya ser comprendidos. 
Death is not when you can not communicate, but when you can no longer be understood. 
La mort n'est pas dans la non-communication mais dans le fait de ne plus pouvoir être compris. 
Der Tod bedeutet nicht die Unmöglichkeit zu kommunizieren, sondern nicht mehr verstanden zu werden. 
Smrt nespočívá v nemožnosti komunikovat ale v nemožnosti už být pochopeni. 
A morte não está em não poder se comunicar, mas em não sermos compreendidos. 

(Pier Paolo Pasolini)


Vendicami

Vendicami (Fuk Sau, conosciuto con il titolo italiano Vendicami, Hong Kong/Francia 2009, col, 108´) Johnnie To. Johnny Hallyday, Sylvie Testud, Simon Yam, Anthony  Wong, Lam Suet, Lam Ka-Tung.
Macau, tre sicari sparano a una donna (Sylvie Testud) ferendola gravemente e uccidono il marito e figli. Francis Costello (Hallyday), padre della ragazza, chef con un passato da sicario, parte per Hong Kong per uccidere gli autori dell’ orrendo massacro. Dopo aver raggiunto la figlia, Costello ingaggia tre sicari (Ka-Tung, Wong, Suet) per ottenere la sua vendetta. I sicari assoldati da Costello incroceranno il loro cammino con il proprio boss (Simon Yam) e non potranno sottrarsi a una dura scelta. Interessante lavoro di To che torna con un film carico di passione cinematografia verso un noir (tema trattato in maniera sperimentale da To e da Wai Ka-Fai) che sembra quasi retroattivo nella sua innovazione. Il regista si distacca da ogni convenzione precedente al suo cinema noir/poliziesco e tratta il tema della vendetta girando a 360º intorno a un grande Johnny Hallyday attore d’altri tempi alla quale To da il nome di Costello per omaggiare il cinema di Jean-Pierre Melville (Costello è infatti il personaggio che interpreta Alan Delone in Le Samourai). Ricco di elementi che ricordano il vecchio wester con sparatorie a non finire e i classici film della vendetta, tema che da sempre riecheggia nel cinema orientale. Non mancano le situazioni comiche/grottesche che riguardano i sicari stessi. Indimenticabile duello finale carico di passione e lealtà. La sceneggiatura è di Wai Ka-Fai. Le musiche di Tayu Lo. Un noir puro e d’altri tempi. Film in concorso per il 62esimo festival di Cannes. Premiato al festival di Toronto.