Il commissario Giovanni Sanzio (Servillo) si trova a dover indagare sull’omicidio di una bella ragazza, giocatrice di hockey , avvenuto sulle rive di un lago, nei pressi di Carnia, in un piccolo paese friulano. Questo paese è abitato da le più svariate personalità e figure umane dall’animo differente, si percepisce una strana gelida aria come se ognuno nascondesse qualcosa (“tutta questa umanità, assolutamente normale, lontana anni luce – dice il cineasta Andrea Molaioli – dall’idea del crimine, d’un tratto appare deviata e complicata. È un delitto che fa alzare il coperchio e ribaltare la scena di questa “medietà””). “Lo sbirro” venuto da fuori inizia una introspezione nella psiche di chi conosceva la ragazza, sino a ritrovarsi in una situazione di stasi in cui gli sarà difficile capire chi è colpevole e chi è innocente. Tutti coloro che Sanzio incontra e interroga possono essere i potenziali assassini. Ad avvicinarlo ancor di più alla riflessione è una sofferenza familiare dovuta alla moglie (Bonaiuto). Tratto dal romanzo della norvegese Karin Fossum “lo sguardo di uno sconosciuto” ( “Don’t Look Back” del 1996) e sceneggiato da Sandro Petraglia, il film di Molaioli, girato in otto settimane e presentato alla Settimana della Critica del Festival di Venezia ha raccolto delle ottime critiche. “ Ho come l’impressione che viviamo in un tempo nel quale sappiamo che abbiamo un nemico di fronte, ma non sappiamo chi è. Questo ci fa vivere una sorta di ansia che cerchiamo di opprimer, sopprimere, ma che si traduce in una mancanza di forme di riferimento nel momento in cui andiamo a relazionarci”,dice Molaioli, che aveva lavorato con Nanni Moretti a partire dal 1998 con “Palombella Rossa”, prima sua comparsa in un set cinematografico, fino a “La stanza del figlio” nel 2001, facendo un ottimo esordio alla regia. Grazie anche all’attore napoletano più premiato d’ Italia, Toni Servillo, che con questo film ha vinto il premio Pasinetti, non ha deluso le aspettative dimostrando d’ essere ancora una volta in grado di assorbire totalmente qualunque ruolo e farlo suo, come ha già dimostrato nelle ottime interpretazioni dei film di Paolo Sorrentino “Le conseguenze dell’amore”, “l’uomo in più” e l’ultimo prossimo all’uscita, “Il Divo”, che ripercorre scenari di vita inquietanti del senatore a vita Giulio Andreotti. In risalto anche la figura di Fabrizio Giufini, che con la semplicità del grande attore teatrale annulla quel distacco che c’è tra teatro e cinema d’autore, come anche le altre figure che ci appaiono sul set: Toni Servillo, Valeria Golino, Omero Antonutti, tutti eroi teatrali prima che cinematografici. Un racconto asciutto ed efficace. La ragazza del lago rappresenta il noir italiano, un noir che ricorda Twin Peaks del genio David Lynch, ma che tocca più a fondo i temi sociali, in primis la famiglia,come dimostra la frase cult detta dal detective “chi l’ha uccisa doveva amarla”. “Più che un problema di comunicazione all’interno delle relazioni - spiega il regista - ravviso in modo ancor più ampio l’inadeguatezza generale che si traduce nella difficoltà di essere madre, padre e anche figlio. Una sensazione che si protende verso la nostra condizione di vita generale”. Ottima la fotografia, più volte dipinge i grandissimi paesaggi friuliani. Le musiche curate da Teardo sono spesso forti e intense e si relazionano molto bene con i paesaggi sublimi, incantando più volte l’occhio dello spettatore. “Man mano che la trama avvia al suo epilogo - dice l’attore Toni Servillo - si sposta verso l’intrigo di una natura bella ed indifferente dinanzi all’offesa costituita dall’assassinio di una ragazza. È un offesa alla purezza e alla bellezza”. Un film molto umano, spiazzante, affascinante, una vera opera d’arte d’autore. Produce la Indigo Film (quella dei film di Sorrentino, Dordit, Capuano). Bisognerebbe portare quest’arte nelle scuole, affinché i giovani sappiano sviluppare una propria critica cinematografica e non si formino soltanto sui milioni di Blockbuster uscenti ogni anno nelle sale che di norma sbancano i botteghini; ma sappiano apprezzare e amare soprattutto il grande cinema italiano. Grande risposta questa dell’allievo di Nanni Moretti, a chi dava il cinema italiano per disperso. Al festival di Cannes il grande regista americano, Quentin Tarantino, affermò che il cinema italiano non stava dimostrando di essere all’altezza del cinema italiano. La sua critica scosse l’ambiente cinematografico nostrano che per lo più rispose andando contro a Quentin. Alcuni dei lavori si sono dimostrati non all’altezza del nostro cinema, ma si sono rivelati efficaci al pubblico per una scarsa cultura cinematografica, poiché per le soap opera resta la televisione e non è necessario sporcare le nostre sale cinematografiche con le solite storie d’amore che fanno successo per la loro banalità e ipocrisia. Il cinema come dice Bruce Willis, ormai è in totale decadenza, perché ognuno con una digitale può farsi un proprio film. Per questo movimenti come Neorealismo, Espressionismo, Nouvelle Vogue e Dogma 95 dovrebbero essere la bibbia per fare del buon cinema. Godiamoci allora questo film come qualcosa di nostro sino all’ultimo respiro.